Quando uscì, nel 1981, Christiane F - Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino, assunse quasi l’aura di un manifesto generazionale, anche se, curiosamente, fece presa non tanto sui coetanei della vera Christiane, che era nata nel 1960 e pertanto aveva 21 anni all’epoca, quanto piuttosto sui teenager di allora, quelli cioè nati alla fine degli anni sessanta che, evidentemente, si riconoscevano nella giovane “eroina” del film Natja Brunckhorst (e mai come in questo caso il termine “eroina” va tra virgolette...). Il film di Uli Edel era tratto da un romanzo autobiografico, frutto di una serie di interviste, che raccontava le vicissitudini adolescenziali della giovane Christiane, che, a 14 anni, entra nel tunnel pericoloso delle droghe pesanti, finendo dentro un girone infernale doloroso ed inquietante. Il romanzo divenne un best-seller ed il passaggio al cinema fu “obbligato”. Edel ne tirò fuori un ritratto generazionale freddo e devastante, gelido e commovente, sempre in bilico tra la descrizione oggettiva dei personaggi e dei luoghi ed uno sguardo più ravvicinato, come pronto a solidarizzare con i ragazzi vittime di una disperazione assoluta. È l’altra faccia della ricca Germania degli anni Settanta quella che racconta Edel, una faccia che il tranquillo e perbenista tedesco medio dell’epoca non voleva assolutamente vedere. Eppure i ragazzi, cosiddetti dello “Zoo di Berlino”, i tanti tossicodipendenti che giravano per la città, erano ovunque: nei bagni pubblici, nei bar, nelle fermate della metropolitana, ma nessuno davvero sembrava vederli. Angeli e fantasmi di una Germania ipocrita, troppo impegnata a difendere l’idea che aveva di se stessa, pronta a chiudere i conti con le ribellioni giovanili e con il successivo terrorismo con una reazione violenta ed omicida che il nostro Paese, per fortuna, è riuscito ad evitare. Ed ecco la giovanissima Christiane in giro per i centri commerciali, quattordicenne piccolo borghese, con madre comprensiva e padre chissà dove, ritrovarsi unica tra i suoi amici che ancora non si fa d’eroina, e la droga che diviene pratica comune, quasi elemento di “comunione” con gli altri, per poi farsi travolgere dal delirante circolo vizioso del bisogno e del dolore. Ed il film racconta proprio questo calvario di Christiane, dall’iniziale contrarietà fino alla curiosità, anche per provare le stesse sensazioni del suo ragazzo Detlev. Ed il momento del loro tentativo di riabilitazione, auto-cura disperata per resistere al bisogno, è uno dei più tragici e terribili di questa drammatica storia vera. Quest’interessante documento su di un’epoca ed una generazione arriva in un DVD che presenta pochi, ma utili extra: la storia (scritta) della vera Christiane F, che ci aiuta meglio a comprendere il personaggio ed una lunga e bella intervista al regista, che oggi, con grande lucidità, ci racconta le motivazioni e le storie che stavano dietro al suo film. Una curiosità, nel film appare David Bowie, in un concerto cui Christiane partecipa e la sua Heroes (con il refrain “noi possiamo essere eroi solo per un giorno”) è un po’ la colonna sonora di un film e di un’epoca.