Sarà per la formazione teatrale del regista, ma tutti i film di David Mamet sono ricchi e calibratissimi sul versante della scrittura dei dialoghi. Non che ignori la teoria e la pratica della “messa in scena”, ma la forza narrativa dei suoi film sembra risiedere nel lavoro sull’attore, sui personaggi, nel delicato equilibrio che si fonda nel lavoro dell’interpretazione. Hollywood Vermont (State And Main, in originale) non sfugge a questa regola drammaturgica del cinema di Mamet, la cui vocazione fondamentalmente di scrittore e sceneggiatore si scontra con la necessità di tradurre in immagini la forza emozionale delle parole. Ed è proprio su questo contrasto, tra le parole e le immagini, ovvero tra la forma scritta e l’azione, in altre parole tra il testo e la vita, che vive con forza e suggestione la parabola di Hollywood, Vermont, che dipana le sue piccole azioni all’interno di una delle tante cittadine di provincia americane (qui Waterford, nel Vermont), dove un giorno si ritrova una troupe hollywoodiana il cui regista (il solito William H. Macy, uno degli attori feticcio di Mamet) ha deciso che è “l’ambiente giusto per girare questo film”. Così non ha più bisogno di grandi e costose ricostruzioni scenografiche, potendo utilizzare liberamente, con la complicità di (quasi) tutti gli abitanti della cittadina, le ambientazioni “naturali” già esistenti. Mamet ha l’abilità (o la fortuna?) di trasformare il solito film sulla realizzazione di un film in qualcos’altro, liberando i suoi personaggi dal vincolo del set (che infatti compare fisicamente solo nelle ultime sequenze del film) e immergendoli in tutto e per tutto nelle pieghe della tranquilla cittadina, dove si mescoleranno con gli abitanti locali. Proprio questo “mescolamento” sembra interessare al regista, che vuole sì - come racconta egli stesso - raccontare il conflitto tra “la cultura americana e quella hollywoodiana”, ma soprattutto vuole narrare le piccole storie di persone che si incontrano, si scoprono e si ritrovano in “altre dimensioni”. Per questo la peccaminosa storia tra la “star” Bob Barrenger (Alec Baldwin) con la giovanissima Carla (Julia Stiles) è lasciata quasi ai margini, mentre la deliziosa relazione tra la libraia Ann (Rebecca Pidgeon) e lo sceneggiatore Joe White (Philip Seymour Hofmann) risulterà alla fine il cuore del film. Impreniato di alcune delle tipiche caratteristiche della cultura americana (la cosiddetta possibilità della “seconda chance” per tutti) e con un certo piccolo disprezzo per l’industria cinematografica (“sempre meglio che andare a lavorare” dirà Baldwin alla fine della sua prima scena girata), Hollywood, Vermont si lascia apprezzare per una sorta di “leggerezza del tono”, che gli conferisce una freschezza e vitalità non comune, e per la passione che il regista nutre per i suoi personaggi, in particolare per la libraia Ann, “fotografata” con un amore talmente esibito, che non si fatica poi tanto a capire che si tratta della compagna del regista... Il DVD è di quelli di media/alta qualità, con backstage, spot, trailer e persino, una volta tanto, l’elenco dei doppiatori italiani. Colpisce il numero di interviste presentate, praticamente a tutto il cast (Alec Baldwin, Charles Durning, Philip Seymour Hoffman, William H. Macy, Rebecca Pidgeon, Julia Stiles, ecc.), che, in effetti, è il vero protagonista della pellicola. Insomma, in definitiva, una commedia senza troppe pretese, ma godibilissima