Dopo aver varcato arditamente le Alpi col suo esercito e i suoi elefanti, Annibale scende in Italia, dove alcuni capi di tribù sparse chiedono di trattare e si alleano con lui. La fortunata audacia del cartaginese, che batte regolarmente gli eserciti che tentano di arrestarne la marcia, preoccupa vivamente il Senato romano. Nel frattempo Annibale ha fatto prigioniera Silvia, nipote del senatore Fabio Massimo, e l'ha poi lasciata libera, affinché informi il Senato dell'ingente forza bellica dei cartaginesi, ch'ella ha voluto vedere coi suoi occhi. Quinto Fabio Massimo, dopo che i romani hanno subito una nuova grave sconfitta, vorrebbe adottare verso il nemico una tattica temporeggiatrice, essendo convinto che il tempo e la lontananza dalla patria riusciranno fatali ad Annibale. Non contento dei prudenti consigli di Fabio Massimo, il Senato appoggia l'audace iniziativa di Minucio, il quale però, dopo alcuni successi iniziali, viene battuto. Silvia, che ha raggiunto Annibale, cui è legata da un reciproco sentimento d'amore, viene catturata da una pattuglia romana e, ricondotta a Roma, è rinchiusa nel Tempio di Vesta dove dovrà rimanere per tutta la vita come sacerdotessa della dea. Ella però riesce a fuggire e ritorna al campo di Annibale. Questi, attaccato dai romani condotti da Terenzio Varrone ed Emilio Paolo, riporta presso Canne una strepitosa vittoria e decide di accordare alle sue truppe un periodo di riposo. Riceve poi da Cartagine buone notizie ed insieme a queste giungono la moglie e il giovane figlio. Silvia allora fugge a Roma, dove viene condannata a morte. La gravità del pericolo fa comprendere al Senato la saggezza dei consigli di Fabio Massimo, che, nominato comandante supremo, riesce ad infliggere ad Annibale le prime sconfitte. La sconfitta totale del generalissimo cartaginese verrà più tardi, quando egli apprenderà che gli aiuti che aspettava dalla patria non potranno più giungergli e che lo stesso suo fratello Asdrubale è stato vinto ed ucciso.