Avati si confronta egregiamente con temi comici, ambientandoli nella provincia emiliano-romagnola e popolandoli di efficaci figure dal tono Felliniano. Straordinariamente sceneggiato, il film in questione è un organizzato susseguirsi di metafore regionalistiche che coinvolgono a turno ogni istituzione, chiesa e religione comprese. Il comune di Bagnacavallo rappresenta un teatrino ideale in cui mettere in azione la classe di Ugo Tognazzi (la "gambina maledetta") e Paolo Villaggio (magnaccia kitsch che tanto sarebbe piaciuto ad Almodovar per "Donne sull'orlo di una crisi di nervi") alla prese con un caso di credenza popolare, un albero di fico attorno al quale ruotano dialoghi caricaturali di enorme spessore e dai risvolti narrativi inaspettati. Avati, da sempre portato a lavorare con gli stessi attori, non può fare a meno di introdurre i fedeli Gianni Cavina (qui ossigenato erotomane), Delia Boccardo (prostituta in odore di santità) e Bob Tonelli, sicuro di ottenere gli effetti prefissati. Accanto a loro il pelosissimo giardiniere Lucio Dalla e il commissario meridionale Gianfranco Barra. Innumerevoli sono le invenzioni registiche e del soggetto, scritto con il fratello Antonio, che l'autore pone in essere : la bizzarra ricostruzione storica iniziale, il confessionale con il video tape e la roulotte "Sadomasosex Taranto" di Villaggio. Il dialetto emiliano romagnolo domina, soprattutto scavalcando i due "neutri" protagonisti " con componenti linguistiche adoperate a scopo di gag. La Romagna di Avati è solare, mutuata schiettamente dal sodalizio Guerra / Fellini.