Anche se non è poi così vero che a Woodstock, in quei tre giorni dell’agosto del 1969 (precisamente dal 15 al 17), ci fosse solo pace amore e musica, il mega-concerto organizzato nei prati di una località nella Contea di Sullivan nello stato di New York è passato alla storia come l’evento-documento di un’epoca. Con Woodstock la cultura giovanile, che da tempo aveva battuto un colpo con l’avvento del rock, manifestava una sorta di stra-potere. Il vento sembrava soffiare dalla parte di quegli irriverenti capelloni dediti all’amore libero, alla marijuana, alla musica come momento di socializzazione. Senza dubbio, guardando a Woodstock dal presente, lo storico concerto assurge a uno dei simboli positivi del Sessantotto. Di lì a poco, soprattutto al di qua dell’oceano, molti giovani avrebbero smesso di parlare di pace, amore e musica, di mettere i fiori nei fucili, e sarebbero passati a scandire motti in onore del dittatore nordvietnamita Ho-Chi-Min e a parlare di rivoluzione. Ma questa è un’altra storia. Sul palco di quello storico evento, che attirò quasi mezzo milione di giovani, salirono artisti come Janis Joplin, la voce maledetta del rock, Jimi Hendrix, il re incontrastato della chitarra, gli inglesi The Who, padri putativi del rock duro, Joe Cocker, dalla voce guerriera e blues, Joan Baez, Richie Havens, Santana e tanti altri. Musica rock, pop, folk. Il film-documentario diretto da Michael Wadleigh si aggiudicò l’Oscar e fu considerato uno dei migliori film di un concerto mai realizzati. Parole, fotografie e musica si accavallano senza il minimo ordine “storico”, ma con un taglio di cronaca, regalando un’atmosfera di genuina anarchia, fedele al momento. In questa versione la chicca per gli appassionati è il metraggio aggiuntivo (ben 40 minuti) voluto dallo stesso regista. Un Director’s Cut da collezione, quindi, che però non trova alcun extra offerto nel menù. Il disco offre l’audio originale e l’accesso alle scene. Punto e basta. Peccato