Nel '44 a.C., Giulio Cesare accentra nelle sue mani tutti i poteri militari e civili. Gelosi dei suoi successi ma anche preoccupati per le sorti della libertà romana, alcuni uomini, sobillati da Cassio e Casca, decidono di uccidere il dittatore. Alle Idi di marzo, mentre si reca al Senato, Cesare viene assalito dai congiurati e cade trafitto da ventitré pugnalate. Tra gli assassini c'è anche il suo pupillo Bruto. Compiuto il delitto, i congiurati tentano di sollevare il popolo, ma i loro retorici discorsi non riscuotono la eco profonda che viceversa provoca l'accorato elogio funebre di Marco Antonio, discepolo e amico di cesare. Di fronte all'ostilità del popolo e delle legioni, i congiurati sono costretti a fuggire; successivamente, raccolto un modesto esercito, affrontano le soverchianti legioni nemiche, ma a Filippi, in Tracia, riportano una decisiva sconfitta. Nell'imminenza delle catastrofe, Cassio e Bruto si tolgono la vita. Accanto al cadavere di Bruto, Antonio pronuncia un discorso nel quale riconosce la rettitudine di intenti dell'avversario.